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05 Dic

Cap.5-11: Quando scrivi imponi le tue idei, senza ascoltare le risposte né i commenti di chi le legge.

Nabil si trova nella stanza da letto nella casa dei genitori a Beirut tenendo stretta nelle mani una lettera ingiallita dal tempo e fissando il nulla da oltre due ore. Alla fine riporta il suo sguardo alla lettera e riprende il suo sogno ad occhi aperti. Si rivolge al suo tu immaginario.

“Rabih guidò e io parlai durante tutte le due ore che ci separavano da Beirut. Recuperai i quattro giorni di silenzio raccontando la mia avventura senza perdere un dettaglio e senza tacere, scolpendola ancora più a fondo nella memoria.

Infine, tirai fuori la lettera,”

Mostrando la lettera al muro davanti a sé, dice: “Questa lettera”

“Non te la leggo testualmente, ma comunque ecco i punti salienti: ovviamente inizia, come d’altronde iniziano tutte le lettere e tutte le azioni dei Musulmani praticanti, con:

Bism’ILLAH alrahman alrahim[1]

Poi, rivolgendo la parola a Dio, gli chiede perdono per aver infranto la regola del silenzio. Per lui, la scrittura è certe volte più dannosa che il parlare.”

“Pensandoci bene, ha ragione il nostro eremita. Specialmente se lo scrittore comunica con un gran pubblico.” Nabil fissa quel suo tu immaginario.

“Ti basta vedere il chiasso e il danno che fanno certi giornalisti senza scrupoli: quando scrivi imponi le tue idee senza le repliche.”

“Torniamo alla lettera. Dopo le scuse, l’eremita sottolinea la sua volontà di scrivere e che non si pente della sua azione. Era come se fosse un dovere comunicarmi quello che sapeva.

“La lettera conteneva una serie di profezie. Sì, esattamente, profezie.

Gli abitanti di Wàdi Qadìsha hanno sempre sostenuto la capacità degli eremiti di predire il futuro, ma io non ci ho mai creduto e, comunque, non è mai stato confermato o approvato dalla Chiesa.

In questa lettera ci sono delle profezie scritte come tutte le profezie del mondo: in prosa o versi con il senso figurato che si fonde con quello reale.

L’eremita mi scrisse che questa lettera, da tenere nel cassettino dei miei ricordi, mi avrebbe svelato la strada per la mia salvezza. Poi iniziò le profezie alludendo alla possibilità di emigrare e che il mio futuro sarebbe stato fuori dal Libano.

Inoltre, sostenne che avrei conosciuto “una ragazza con una pelle bianca come la luna e capelli neri come la notte ed un cuore decorato con una lacrima.”

Scrisse ancora che sarebbero arrivati dei giorni folli che mi avrebbero fatto dimenticare la valle e lui stesso. Avrei maledetto sia la mia, sia la sua religione.

Poi, con parole oscure, procedette: “vedrai la morte della tua vita durante il tuo quarto decennio”

Non si fermò qua e scrisse: si dice che la gente cambia ogni sette anni, e tu cambierai tre volte prima di ricordarti di me.

E concluse:

“Non ti dimenticare dei miei avvertimenti. Non sono stati detti a caso. Il fuoco ti accoglierà, il ferro ti strapperà e perfino la buona cucina ti nuocerà. Pensa alla tua salvezza e sappi che ti occorrono sempre tre volte sette per raggiungere la tua Valle dell’Anima”.

Vedi, quello che mi turba di più è che quando fummo in macchina scendendo verso Beirut, Rabih e io lo deridemmo. Ridevamo come pazzi commentando le sue profezie.

Rabih, imitando gli attori drammatici, ripeteva con una voce tenebrosa: “Vedrai la morte della tua vita durante il tuo quarto decennio!”

Continuò dicendo: “Ma dai! Queste parole dicono tutto e niente. Cosa intende per vedere la morte? se muori non vedi più niente! E cosa vuol dire la morte della tua vita? Quale vita se non è la tua?”

Sostenendo i commenti di Rabih, dissi: “Sono tutte frasi fatte. Non si può credere a tali fesserie. Se non fosse un ricordo di questi fantastici giorni, butterei questa lettera. A proposito, come fa a sapere che ho un cassettino per i ricordi?”

Rabih replicò immediatamente: “Ma la maggior parte di noi ha un cassetto per i ricordi. Chi non ce l’ha?”

Poi dissi a Rabih “Una ragazza con una lacrima sul cuore… ma quanto è romantico quest’eremita!”

E Rabih non risparmiò battute: “Tu? Ma quale ragazza starebbe insieme a te?”

Sette anni dopo questi commenti, sposai Nidàl. Una ragazza bella come il sole, con la pelle bianca come la luna e capelli neri come la notte e, soprattutto, un neo a forma di lacrima sulla scapola sinistra… giusto al livello del cuore.

Non è tutto. Commentammo il suo allusione all’emigrazione. Mi disse: “Ma chi è quello stupido che lascerebbe un paese così bello e così ricco come il Libano? L’America è qui, non bisogna cercarla altrove!” Ma in meno di cinque anni, esattamente il 13 Aprile 1975, il Libano entrò nella guerra più sanguinosa che avesse mai visto, allontanando da sé tanti dei suoi figli.

Eh sì. Quattordici anni dopo emigrai in Italia con Nidàl, Hayat e Nour.

Sono passati ventun’anni, tre volte sette, e sono qua con questo foglio ingiallito in mano, proprio come l’eremita ha predetto: “sappi che ti occorrono sempre tre volte sette per ricordarti di me e per raggiungere la tua Valle dell’Anima.”

Ora capisci quanto il contenuto di questa lettera mi turba!

Si sono avverate tante delle sue profezie. Giorni folli hanno travolto il paese e sono state attaccate tutte le religioni, i loro comandamenti e i loro insegnamenti. Adesso ho paura che si avverino le altre profezie.

Ho paura di morire.

Ho paura per la mia famiglia.

Quest’anno compio quarant’anni. Cosa intendeva per “Vedrai la morte della tua vita durante il tuo quarto decennio?” A distanza di ventun’anni, questa frase non mi fa più ridere.

Quale strada mi svelerà questa lettera? Non ci sono né mappa né indicazioni. Anche in senso figurato, non riesco a capire come mi può svelare una strada!

“Nabil…”. Una voce maschile invade la stanza.

“Nabil… mi senti?” La voce si fa più chiara e più forte..

Impaurito, guarda intorno a sé.

“Nabil… hai passato più di due ore rinchiuso in quella stanza… Non vorrai passarci il resto della giornata, spero….” Il padre di Nabil bussa alla porta ed interrompe l’isolamento volontario del figlio.

“Non risolvi niente ad essere triste. Non serve a niente flagellarsi per l’incidente… ringrazia il buon Dio che non è successo niente d’irreparabile.”

Poi con un tono monotono ripete il detto che suo figlio ha sentito tante volte durante le ultime ventiquattro ore: “Yalla[2]! Hadid Bi Hadid[3]

Fuori dalla camera Nabil riceve dal padre un piccolo pacco regalo. Invece di aprirlo, riprende l’argomento del giorno: l’incidente.

“Scusami per l’automobile… mi dispiace per il disagio che ti ho causato, anche per il lavoro…”

“Non preoccuparti ora…. apri invece questa scatola…”

Nabil strappa lentamente l’imballo colorato che avvolge la scatola pensando da un lato che non c’è nessun motivo per ricevere un regalo, anzi, se mai il contrario; dall’altro incuriosito, procede a togliere il coperchio: un orologio d’oro, d’oro massiccio.

Non tarda molto a riconoscerlo: è l’orologio che suo nonno regalò tempo prima a suo padre.

Oltre al suo valore materiale, che supera di ben due volte il costo dell’auto, questo gioiello di famiglia ha un enorme valore affettivo.

Con un vano sforzo di trattenere la sua emozione chiede “Perché? Ma per quale occasione? Ho distrutto la tua macchina, ho ferito le mie figlie, ho rovinato le ferie, ho frantumato dei sogni! Credi che meriti questo regalo?”

Senza badare alle sue proteste il padre dice “È tuo adesso! Ricordati che non è automatico né a batteria. Dovrai caricarlo ogni mattina.”

Un semplice gesto affettuoso sostituisce le mille parole di ringraziamento che, comunque, non riuscirebbe mai a pronunciare per il forte nodo in gola che gli blocca perfino il respiro.

“A proposito di ferie, tua madre ed io abbiamo pensato di organizzare una grande festa, un banchetto, domani 15 Agosto, alla casa al mare. Tutti gli amici sono stati invitati. Riprenderemo le feste, e la gioia delle ferie, e voi farete tutti i giri turistici che vorrete!”

“Speriamo!” risponde Nabil mentre pensa che senza un’automobile non potrà mai visitare la valle sognata.


[1] Bism’ILLAH alrahman alrahim (باسم الله الرحمان الرحيم) : In nome di Dio misericordioso.

[2] Yalla (يلاّّ) : Espressione correntemente usata nel mondo arabo per dire “Dai” o “Su, andiamo”

[3] Hadid bi Hadid (حديد بحديد): letteralmente significa “Ferro in Ferro”.

Con questo detto popolare si intende che i danni si limitano solo al ferro o alla materia e che non ci sono danni alle persone.

È stato usato perfino per “sollevare il morale” dei disastrati che hanno perso la casa e il suo contenuto dopo un bombardamento cieco sulla città senza subire danni alle persone.

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