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09 Feb

Cap.6-1: Nabil torna ad accarezzare il suo sogno

Al suono del campanello Nabil apre la porta. Un uomo magro con una barba di tre giorni aspetta con delle chiavi in mano e un sorriso sul viso che gli dona un carisma particolare.

Con un accento armeno[1], sintassi rovesciata e scambiando il maschile col femminile, l’elettrauto di fiducia Arteen dice: “Ho portato il macchina che tua papà ha ordinato. Ho rimesso a posto tutta l’impianto elettrica… Ora il macchina è come nuovo”.

“Ma di quale macchina parli, Arteen?” Chiede Nabil stupito.

“Quello Bianco… il Fiat128 di tuo moglie.”

“Ma esiste ancora questa macchina? Pensavo che fosse morta e sepolta da ormai sette anni!”

“Ma no!… ho cambiato la carburatore, i candeli, i cavi, e anche il radio… è nuovo come prima”.

Nabil lancia uno sguardo interrogativo verso il padre che, ovviamente, non sembra affatto sorpreso. E con un sorriso velato gli dice:

“In attesa di riparazione della macchina incidentata, ho rimesso al meglio questa… volevi andare in montagna, ecco il tuo mezzo”.

Nabil torna ad accarezzare il suo sogno della valle santa, guarda sua moglie e chiede senza voler risposta “Credi che ce la faremo a visitare questa valle?”

Nidàl, incoraggiata da una strizzata d’occhio della suocera, prende un portachiavi dalla sua borsa e lo tende a Nabil.

Non è un qualsiasi portachiavi, ma IL portachiavi, quel portachiavi che zia Mariam le aveva regalato in ospedale, con la pietra blu, grossa e rotonda come una ciliegia.

Nabil, con una smorfia non definita, un’espressione indecisa tra il sorriso e il rimprovero, aggancia la chiave e lo posa sulla mensola.

Non ha il tempo di allontanarsi che sente un rumore… si direbbe una biglia che rotola: troc, troc, troc,

e poi la sfera irregolare prende velocità e aumenta di rumore: troc, troc, troc, troc…

la pietra blu rotola libera sulla mensola, zittendo tutti. Nessuno si muove per fermarla. Il suo battito si trasforma in un gracchio irregolare: troc troc troc troc troc troc..

“Come ha fatto a staccarsi dal supporto?” si chiede mentalmente Nidàl. La pietra rotola indisturbata sulla mensola di legno e poi il vuoto. L’assenza di rumori.

Come in un film al rallentatore, marito e moglie vedono la pietra semipreziosa precipitare nel vuoto e schiantarsi per terra, con un fracasso acuto, frantumandosi in mille pezzi…

Nidàl e la suocera impallidiscono. La paura s’impossessa di loro come se avessero visto un fantasma.

“Cosa succede?” mormora la madre di Nabil. “Cosa vuol dire questo messaggio? Quanto potere ha questo malocchio?”.

Suo figlio, invece, interrompe l’atmosfera cupa che si è formata e sdrammatizzando dice “Non è successo niente… sono tutte fesserie… il portachiavi si è rotto… e allora? Il malocchio non esiste. Esiste una mensola montata male con troppa pendenza. Adesso ci prepariamo e ce ne andiamo a Byblos.”


[1] Gli armeni sono arrivati in Libano attorno il 1920, dopo il genocidio, da parte del regime turco (24 Aprile 1915). Sono diventati cittadini libanesi a tutti gli effetti nel 1923 (Trattato di Losanna).

Con le loro Chiese e scuole, la loro lingua, cultura, cucina e il loro artigianato, i 200.000 armeni del Libano formano una delle più attive comunità armene nel mondo e sono rappresentati nella camera dei deputati e nel governo libanese con più del 4% del potere elettorale.

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