Per acquistare il libro clicca sul seguente collegamento.
03 Nov

Cap. 2-3: è vero che siamo regrediti di cento anni!

Una volta a casa, sua moglie gli racconta con calma l’accaduto. Oltre al panico, il dolore e il fuoco, il fratello aveva subito un’altra disgrazia durante il tragitto: l’autista che si era fermato a soccorrerlo non l’aveva accompagnato direttamente in ospedale in città, ma verso un villaggio, da una guaritrice.

“Una guaritrice? Ma siete matti? E lo ha lasciato fare?”

“Non ha avuto altra scelta!”

“Come non ha avuto altra scelta? Farid è un medico, un chirurgo. Non può lasciarsi intimidire così!”

“È anche un uomo, in carne e ossa. Tu sai cos’è la sofferenza da ustioni su una superficie estesa su più di metà corpo? Non aveva più la forza di parlare. L’autista ci aveva assicurato che non si trattava di una guaritrice ma di una signora che aveva preparato una pomata, a dir poco, magica. Durante la guerra, perfino i pompieri andavano da lei”.

“La strada era tortuosa e le salita ripida”, Nidàl procede nel suo racconto. “Dopo un dislivello di quasi mille metri e un’ora di curve e precipizi, siamo arrivati in un paese di quattro case e una cascina. La signora era in casa. L’ha esaminato e gli ha spalmato questa pseudo medicina con un coltello da cucina…”

“Con un coltello da cucina? Ma siamo nel medioevo? Allora è vero che siamo regrediti di cento anni”.

“Hayète[1], puoi calmarti un po’ e ascoltare fino alla fine? Oggi sei proprio isterico!”

“Lascia perdere! Ho passato una giornata del cavolo, ti racconterò dopo. Ma dimmi, poi cosa avete fatto?”

“Allora, una volta medicato, la “pomata magica” ha avuto un effetto immediato. Tuo fratello ha ringraziato, pagato, e ha chiesto infine di essere accompagnato in ospedale. Dopo un’altra ora di curve e mille metri di dislivello a ritroso, siamo arrivati all’ospedale.”

“Era ora! Immagino la faccia dei suoi colleghi alla vista della pomata!”

“Ovviamente non si sono risparmiati il sarcasmo. Hanno tolto tutte le tracce di quella pomata che poi si è scoperto che conteneva del cortisone. Hanno disinfettato le ustioni e si sono raccomandati di cambiare le fasce ogni quattro ore per evitare una setticemia. Inoltre gli hanno consigliato di uscire al più presto dall’ospedale.”

“E chi cambierà le fasciature?”

“Tu e tuo padre. Farete a turni, giorno e notte. Tua madre ha già preparato la camera da letto che ora è più pulita della sala operatoria”.

“Ah sì?… quindi addio ferie… addio Valle Santa.”

“Cosa vuol dire, “addio Valle Santa”? Cosa c’entra Wàdi Qàdisha? E poi, cosa ti è successo? Perché dici che hai avuto una giornata dura?”

Nabil racconta tutti i dettagli della giornata che, tra l’altro, non è ancora giunta al termine. Le racconta la storia del passaporto, del giudice, del ritardo, ma soprattutto del desiderio di riprendere i sentieri di Wàdi Qannoubine come nei bei tempi prima della guerra.

“Ti ricordi quel convento scavato nella roccia all’interno della valle? Vorrei tornarci con Nour e Hayat. Credi che ce la faremo?”

“Ce la faremo… non preoccuparti. Non appena passerà il pericolo delle infezioni, e non appena tuo fratello si riprenderà, ci andremo soli o con i nostri amici. Dormi ora. Riposati.”

“Buonanotte tesoro. A domani”.

Nabil chiude gli occhi sognando la sua valle. Quella valle talmente profonda che perfino i raggi del sole la raggiungono poco prima di mezzogiorno per lasciarla in silenzio poche ore dopo.


[1] In arabo (حياتي)che significa “Vita mia”… corrisponde a “Tesoro” in Italiano

Comments are closed.