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07 Nov

Cap. 3-2: L’impressione di essere inseguito non é nient’altro che la paura di te stesso!

“Scendo verso il fiume, penetrando il buio delle sue gole, La valle Janneh.

Improvvisamente l’aria ghiacciata della sera trasforma il “paradiso” in un’oscurità spessa e profonda. Il cielo e la terra, le rocce e gli alberi si sono fusi, la strada diventa invisibile. Non so più camminare. Il mio corpo proteso, le mani davanti a me, cerco la mia strada a tentoni nella notte nera. Sento dei rumori. Non è il solito rumore del vento. È il fruscio dell’oscurità che mi avvolge, l’oscurità dove non c’è né alto né basso, né destra né sinistra, né lontano né vicino, non c’è nessun ordine determinato. Non ho più conoscenza del mio corpo.

Sembra che qualcuno mi stia spiando… qualcuno mi osserva. Mi viene in mente il nome della Valle: Janneh, cioè Paradiso. Ma nel paradiso non ci sono vivi. Ci sono solo morti! Quante anime ci sono intorno a me?

Sono già morto?

In un cigolio di rocce, di pietre e di alberi, sento la valle chiudersi dietro di me. Nel mio sogno, anzi incubo, mi pare, per un attimo, di intravedere un convento o un tempio in fondo alla valle, ma la vista di un grande occhio rotondo che mi fissa mi fa sobbalzare di paura e dimenticare il convento. Guardo intorno a me e vedo dovunque i rami degli alberi aprire gli occhi ed osservarmi freddamente.

Parlo nel sogno. Mi dico: calmati! Devi controllare la tua paura. È solo una foresta. Sono solo alberi ed è solo un’illusione. Sei tu che ti stai guardando. È la tua anima nera che ti spia. Questi occhi non sono altro che te stesso. L’impressione di essere inseguito, non é nient’altro che la paura di te stesso. Non pensarci ora. Devi raggiungere il tempio… ma più avanzo nel buio lungo la mia strada, più la valle si chiude su di me, mi viene addosso e mi soffoca.

Sto morendo… sono immerso nell’oscurità!

Mi sveglio urlando, sudato, con il cuore che batte forte.”

Nabil racconta il suo sogno a Nidàl, sulla terrazza della loro casa durante la colazione attorno a due tazze di caffè e una man’usce[1].

“Se non mi sbaglio, la prima parte del tuo sogno, quella bella intendo, l’abbiamo realmente vissuta! O no?”

“Eh sì! Una camminata con i nostri amici due anni prima della guerra.”

“Scusami se ti ho influenzato con quella storia degli occhi. Non volevo impressionarti, e poi non credo né al malocchio né ad altre fesserie del genere”.

“Figurati! Lo so che non ci credi e non ci credo nemmeno io. È normale che tre incidenti in meno di tre giorni facciano pensare e soprattutto stressare.”

“Il passato è passato. Mettiamoci una pietra sopra e pensiamo ad oggi. Riprendiamo i nostri progetti turistici?” continua Nabil.

“No, oggi ho promesso una giornata di nuoto e di sole alle mie amiche. Arriveranno tra poco.”

“Va bene, allora domani vorrei andare all’università per salutare i vecchi amici. Andiamo tutti?”

“Vedremo.”


[1] Man’usce (منقوشة) focaccia con timo, sesamo e olio d’oliva.

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