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05 Dic

Cap.4-1: E’ strano come la felicità sia del tutto relativa!

12 Agosto 1991, Nabil è un po’ amareggiato. Gli sarebbe piaciuto portare Hayat e Nour al campus dell’università, che oltre a essere il posto dove aveva trascorso una parte importante della sua gioventù, era anche il giardino dove lui e sua moglie portavano le figlie a godersi le piacevoli giornate primaverili.

Nidàl e le sue amiche, invece, preferiscono organizzare una giornata di shopping nella Rue Hamra[1], in ricordo dei vecchi tempi, ma il battibecco tra i due fa tardare la loro partenza e di conseguenza il loro appuntamento in città. Fanno salire le figlie ancora scalze, le consegnano il piccolo cane e partono.

Contrariato, Nabil se la prende con tutti, con il mondo, con i camion e con le macchine che passano e gli impediscono di uscire dal parcheggio di casa sua. Oltre al ritardo, il non poter imboccare la vecchia strada statale per Beirut lo rende ancora più isterico:

“È possibile che l’unica strada che lega il Nord al Sud, sia larga solo dieci metri? Quando riapriranno questa maledetta autostrada[2]? È possibile che, in nome dell’odio e della scissione del paese, si debba trasformare un’autostrada in aeroporto? Meno male che non l’hanno realizzato! Non si rendono conto che solo qualche centinaio di chilometri separa il Libano dal continente Europeo, ed altrettanti chilometri da quello africano? non si rendono conto che questa è la via più breve che lega i tre continenti?”

Nabil, prendendosela sempre con il mondo intero, si fa strada tra una macchina e un camion, lanciandosi nella giungla del traffico, Nidàl guarda l’orologio e, spensierate, Hayat e Nour hanno trasformato il sedile posteriore in un campo da gioco. Non appena percorsi duecento metri, proprio sulla prima curva, Nabil sgrida le ragazze e si distrae per incitarle ad indossare le scarpe.

In quella frazione di secondo, viene sorpreso da una macchina che sta uscendo da un parcheggio alla sua destra. Vuole evitarla, ma l’asfalto, trascurato per oltre venticinque anni e reso liscio come uno specchio, gli fa perdere l’aderenza con il manto stradale e, siccome i guai non vengono da soli, le vecchie rotaie di una ferrovia in disuso che attraversano la strada in quel punto lo fanno rimbalzare sollevando le ruote di qualche millimetro. Il veicolo è ormai senza il minimo controllo, spinto dalla forza cinetica del suo peso.

Nabil, preso dal panico, aumenta inutilmente la spinta sul pedale dei freni.

Nidàl urla.

Il tutto succede in pochi secondi ma ogni frazione sembra interminabile. Il tempo va al rallentatore.

La frenata fa sbandare il bolide cambiando la sua traiettoria e invadendo la corsia opposta nella quale avanza un camion carico di ferro. Prova invano a fermarsi.

Mentre realizza che l’impatto è inevitabile, Nabil vede la disperazione stampata sul viso del camionista.

Guarda sua moglie.

Vorrebbe scusarsi, ma non è il momento delle scuse.

Guarda le sue figlie.

Vorrebbe scusarsi, ma non è il momento delle scuse.

Lo stridio delle ruote sull’asfalto viene interrotto dal botto delle lamiere e dei vetri che si frantumano.

L’auto rimbalza contro il paraurti del camion.

Nabil non sente altro che le urla delle bambine.

Si ricorda dell’Attentooo!!! lungo, interminabile di sua moglie.

E poi, il silenzio.

Un silenzio che stordisce.

Un silenzio che dura un’eternità.

Un’eternità di una frazione di secondo.

Nabil si gira…

Il viso di Nour è già coperto di sangue.

“Oh Dio… No… mia figlia!”

Prova ad aprire la portiera…

Non si apre… è distrutta.

Esce dal finestrino.

Cerca di aprire la portiera dalla parte di Nour.

Non si apre… è distrutta.

Nour, con il viso insanguinato, piange.

Nabil riesce ad aprire l’unica porta ancora integra per soccorrere Nour.

Chiede a Hayat di spostarsi.

Hayat è esanime! Ha gli occhi aperti… Guarda il nulla !

“HAYAT… NOOO!!”

Nabil dimentica sua figlia Nour.

Prende l’altra tra le braccia, ma lei non si muove.

La madre tiene teneramente la testa pendente di sua figlia: “Ti prego Hayat, no…”

L’angoscia invade qualunque genitore in qualsiasi punto della terra. Non esiste un sentimento più straziante di quello di portare un figlio inanimato tra le braccia. Il dolore e l’adrenalina s’intrecciano, asciugano le lacrime, soffocano l’angoscia e rifiutano la morte.

Tutto tace. Si è interrotto il traffico sulla strada principale del paese. Si è interrotto il flusso tra l’Europa e l’Africa, tra il Nord e il Sud, tra il cielo e la terra, tra la vita e la morte. Si è interrotto il suo pensiero. Tutto tace tranne la disperazione.

Nidàl rompe il silenzio formatosi nella testa del marito e, piangendo, lo incita ad accettare l’aiuto di un autista che va verso la città, verso sud, e che propone di portarli in ospedale. Invece Nabil attraversa la strada con la bambina tra le braccia. Chiede un passaggio ad un altro autista che va nella direzione opposta.

“Dove andiamo Nabil? Dove vai habibeh[3]? Stai bene?” Gli chiede la moglie preoccupata e tremante.

“Torno a casa. Voglio essere accompagnato da Samir”

Nidàl non fa nessuna domanda. Non riesce a capire perché vuole essere accompagnato da suo cognato, ma Nabil si è già buttato fuori dall’abitacolo.

“Samir…” Urla a squarciagola! “Samir, accompagnaci all’ospedale, presto”.

Le domande piovono da tutte le parti, da sua madre, dalle sorelle, e perfino dai vicini.

In meno di un minuto Samir li fa salire in macchina, e di corsa si lancia verso l’ospedale sorpassando la fila che si è formata nel frattempo.

Nabil osserva sua figlia con gli occhi chiusi.

Quante volte l’ha guardata dormire? Quante volte è rimasto incantato dalla sua bellezza e dalla sua innocenza? Quante volte ha voluto accarezzarle il viso? E quante volte non l’ha fatto per paura di svegliarla? Ma adesso è diverso! Questa volta la sta accarezzando per svegliarla! Adesso deve svegliarsi! Non è incantevole quello che vede! Non è affatto bello! Eppure è lo stesso viso! La stessa bellezza!

“Svegliati, ti prego svegliati…” Le sue suppliche sono soffocate dal rumore della macchina.

Ancora tra le braccia del papà, e dopo qualche minuto di strada, Hayat muove la testa! Si sta riprendendo.

Nabil vorrebbe urlare “È viva!” Ma si trattiene rinunciando al piacere dell’urlo di gioia per non rendere pubblico il suo pensiero nero di prima. Non voleva ammettere che la credeva morta! La morte è un tabù. È una parola che non bisogna pronunciare, neanche col pensiero!

“Si sta riprendendo! Nidàl… Guarda si riprende!”

Hayat smarrita, spalanca i suoi grandi occhi, guarda intorno a sé, guarda il padre impaurita e chiede in francese:

Qui es tu?[4]

“Où suis-je?”[5]

Gira la testa “Mami, où suis-je?”. Riconosce la madre ma non il padre.

La mamma le risponde in Italiano: “Siamo in Libano, dai nonni”. Ma la figlia si è dimenticata la lingua che parlava perfettamente da oltre sette anni.

Quoi?

Où vous me prenez?”[6]

Il silenzio invade di nuovo la macchina.

Le lacrime inondano di nuovo gli occhi dei genitori: si trovano di nuovo davanti un grave problema: loro figlia ha perso la memoria.

“Oh Dio, aiutaci dovunque Tu sia! Chiunque Tu sia… Santa Maria, ti prego! Tu che sai cosa vuol dire essere madre, aiutami!” Asciugando le lacrime e pregando, la madre tenta di nuovo di farle ricordare qualcosa.

Il silenzio torna ad assordare le orecchie di Nabil, e i cattivi pensieri a ronzargli nella testa: “Non so se esiste questo Dio… Dov’è quando ce né bisogno? Sono tutte fesserie!”

Ma poi, per paura o per credo, per educazione o per tabù, si riprende, “Non è il momento di bestemmiare! Non è il caso! Ma allora dove Sei? Se esisti, dammi una mano… ti prego!”

In dieci interminabile minuti, Hayat riconosce la sorella Nour e chiede come mai ha una fascia insanguinata sul viso. Identifica il padre nonostante il viso pallido, torna a comunicare in Italiano con la madre e saluta lo zio Samir.

Di nuovo, un’atmosfera distesa invade la vettura che viaggia verso l’ospedale.

“È bizzarra la vita!” riflette Samir mentre guida, “È strano come la felicità sia del tutto relativa! Una della mie nipoti ha subito un serio trauma cranico, l’altra è ferita, la macchina è distrutta ed è abbandonata in mezzo alla strada e, con tutto ciò, siamo felici! In mezzo a una tragedia siamo felici. Sì, felici per aver evitato il peggio, l’irreparabile, l’innominabile.”

“É un po’ come la nostra vita in questo paese.” Samir continua la sua riflessione “Tutto è distrutto, tutto è da fare e rifare, duecentomila persone hanno perso la vita, il doppio è gravemente ferito o handicappato a vita, eppure esultiamo di gioia perché non si combatte più!”

Nabil, con la bimba ben stretta tra le braccia, controlla attentamente sia la strada sia la guida di Samir che, come uno sciatore di slalom, viaggia zigzagando per evitare i buchi, anzi le voragini, causati dai bombardamenti ciechi sulla città.

Nidàl invece, tenendo in braccio Nour, prega. Prega e ringrazia il Cielo.


[1] Rue o Via Hamra (حمرا) era considerata “Les Champs Elysées” di Beirut (Appendice A).

[2] Durante la guerra, l’autostrada nord, che separa Beirut da Tripoli, (nei pressi di Halatحالات , vicino Byblos) è stata trasformata in un aeroporto di emergenza. Esisteva un progetto per renderlo aeroporto civile, pur sapendo che soli trenta chilometri lo separano dall’aeroporto internazionale.

[3] Habibeh (o Habiby) حبيبي : Amore mio o tesoro.

[4] Chi sei?

[5] Dove sono?

[6] Dove mi portate?

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